lunedì 9 gennaio 2012

MASTRO BRUNO PELAGGI, UN UNIVERSO TUTTO DA SCOPRIRE



di ANDREA TRAPASSO

SERRA SAN BRUNO - Nel vedere la sala di Palazzo Chimirri  piena di gente, in occasione del convegno dedicato alla poesia di Mastro Bruno Pelaggi, svoltosi il giorno dell'Epifania  nell'ambito della manifestazione sul primo centenario della morte dell'artista, appare subito chiaro quanto questa figura sia presente nell'immaginario collettivo dei serresi e quanto essa sia rilevante nel patrimonio culturale della città certosina e dell'intera regione.
Proprio per queste motivazioni chi ha vissuto quelle due ore di intensa discussione, ha lasciato la sala avvolto da due sentimenti solo apparentemente contrastanti: commozione e ansia. Occorre naturalmente specificare meglio tali concetti per dissipare qualsiasi sfumatura negativa che possa, in un primo momento, venir fuori.
La commozione è un filo conduttore inevitabile che attraversa ogni aspetto dell'universo pelaggiano. Una figura straordinaria, quasi mitica, quella di Mastro Bruno. Di quello scalpellino che, rientrato a casa dalla dura giornata lavorativa, dettava a sua figlia i suoi versi, il suo grido di insoddisfazione per un mondo "fatto male", per quelle vicende storiche che "travolsero" l'inerme gente comune, che si trovò sempre più povera, prevaricata, surclassata. Ma anche la descrizione della gente e dei luoghi natii, di quella Serra quasi ormai dimenticata, con quel tono verace di ironia, incredibile da trovare in quella situazione di stenti e di patimenti.
La commozione emerge fin da subito, fin dall'intervento di Franco Gambino, fratello dell'indimenticato scrittore Sharo, che, pescando nel calderone dei ricordi personali, rievoca le serate trascorse intorno al fuoco a recitare le poesie di Mastro Bruno e altri aneddoti simili che sono dei veri e propri "bozzetti di vita serrese dal valore inestimabile", la testimonianza di un tempo che fu, lontano ma così vicino. Ogni generazione ha trovato nelle vicende di Mastro Bruno le vicende del proprio tempo, perché seppur fortemente calate nel contesto dell'epoca in cui il poeta visse, in quelle parole di protesta e di dignitoso dolore ci si può rispecchiare alla perfezione, in quanto poco, o nulla, in fondo è cambiato. 
L'aspetto delle relazioni nate nel tempo intorno alle poesie di Pelaggi viene messo in particolare risalto dall'intervento dell'antropologo Gigi De Franco. Partendo dal concetto che un componimento poetico è un artefatto dell'uomo e che un artefatto non è soltanto l'oggetto in sé, ma tutto il complesso di relazioni che ne permette la realizzazione e che poi intorno a esso si sviluppa, De Franco evidenzia come la cosa interessante sia il fatto che ancora oggi, a più di cento anni di distanza, questi artefatti siano in grado di creare delle relazioni sempre nuove, nuovi spunti di studio e incontri tra persone. I ragazzi dell'Associazione Culturale "Il Brigante", che da anni si "incontrano" intorno alle poesie di Pelaggi e da esse traggono nuova linfa per le proprie attività, potrebbero, in questo, darci qualche ulteriore spiegazione.
Ed ecco arrivare l'ansia. Quell'ansia che ineluttabilmente nasce in chi, spinto da un forte interesse verso un universo (in questo caso letterario), si rende conto che questo universo presenta ampie aree inesplorate e che il "tempo perso" e una serie di difficoltà oggettive, rendono queste aree di difficile investigazione. Tonino Ceravolo, nel suo intervento, spiega meglio la questione. La critica pelaggiana ha per troppo tempo insistito nel voler inquadrare la poesia di Mastro Bruno negli ambiti del bozzettismo, della poesia occasionale e, soprattutto, della poesia di protesta, trascurando fattori altrettanto importanti come quelli linguistici  e filologici. Ma una lettura attenta di questi versi fa emergere questi aspetti con tutta la loro forza. Ripetizione di alcuni termini, costruzioni onomatopeiche, l'uso di figure retoriche varie denotano una complessità linguistica su cui ci sarebbe tanto da dire e approfondire. Elementi che, inoltre, ci fanno mettere in discussione l'appellativo di "poeta-analfabeta" con cui si suole indicare Mastro Bruno Pelaggi e inteso, spesso e erroneamente, come "poeta-ignorante". L'analfabetismo, ovvero il non saper leggere e scrivere (probabilmente sì, questa era la condizione di Mastro Bruno), non deve essere confuso con l'ignoranza. La ricercatezza linguistica e la sensibilità, nonché la competenza, con cui Mastro Bruno affrontava i suoi temi, sembrano tutt'altro che il prodotto di una persona ignorante e di scarsa cultura.
La necessità di approfondire l'universo pelaggiano con un altro piglio, si scontra, come evidenzia Ceravolo, con una serie di difficoltà di non facile soluzione. I problemi sono legati in primo luogo all'incertezza delle fonti. L'opera di Pelaggi, infatti, è stata fin dalle origini trasmessa esclusivamente per via orale. Almeno fino al 1965 quando Angelo Pelaia, basandosi su un manoscritto, oggi scomparso, di un'amica della figlia di Pelaggi, decise di curare la prima raccolta scritta dei versi in questione. Negli anni successivi a questa ne seguirono altre, fino a giungere all'ultima e più completa del 1982 di Biagio Pelaia. Ma il confronto tra queste raccolta fa venir fuori un altro problema, che è quello filologico. I vari curatori si sono attribuiti la licenza, forse per un gusto personale o forse perché pensarono di dare "un prodotto" più funzionale al contesto del loro tempo, di cambiare alcuni termini nelle poesie di Mastro Bruno. Un lavoro di ricerca e di analisi lessicografica si rende necessario, spiega Ceravolo, per poter risalire all'individuazione dei termini originali rispetto a quelli posticci e poter fornire, così, delle versioni  che siano le più aderenti possibili a quelle partorite dall'autore. Ma l'assenza di un manoscritto originario e la difficile reperibilità di studiosi realmente competenti in materia, rende questo compito più arduo del previsto.
Ma qui arrivano due notizie che possono essere viste come due spiragli di luce nell'ombra che circonda in parte l'opera di Mastro Bruno Pelaggi. 
La prima la dà direttamente Cesare Pelaia, pronipote dello scrittore e coordinatore del dibattito, che assicura il suo impegno nel cercare di recuperare il famoso manoscritto utilizzato da Angelo Pelaia nella stesura della sua raccolta e, forse, posseduto da alcuni familiari emigrati in Canada. La seconda giunge da Antonio Cavallaro, direttore commerciale  Rubbettino, che in una lettera di saluto ai presenti annuncia che la casa editrice pubblicherà, nel corso del 2012, un'edizione critica delle poesie di Pelaggi, nel tentativo così di "recuperare il tempo perduto per un autore lasciato per troppo tempo nell'oblio" e "restituire la giusta luce a quella forma d'arte genuina abbruttita oggi dalla modernità".
La commozione si fa brivido quando Sergio Gambino e Salvatore Costa vengono chiamati sul pulpito dei relatori a declamare tre poesie di Mastro Bruno, "Littira allu dimuonu", "Li Zzuoccula di Teresa" e "Tu, signuri, cu mia ti la pigghiasti", il giusto tributo alle vere protagoniste della giornata, le parole di Mastro Bruno, che forse, meglio di qualsiasi analisi o dissertazione sono in grado di trasmetterci il senso del profondo e sfaccettato messaggio di questo straordinario artista.
Dunque anche questa breve cronaca è giusto chiuderla con le sue parole, con un appello rivolto direttamente al Signore o a chi per lui ha in mano le sorti dell'umana stirpe:




'Ndi criàsti grandizzi quantu mai,
e cu po’ diri ca non si putenti?
Ma chista la facisti mala assai:
a cu’ dunasti tuttu ed a cu nenti.
Lu mundu è miègghji nuovu mu lu fai,
ca chistu è fattu truoppu malamenti.
Ti priegu, fallu buonu, ma cu nu pattu:
mina 'na fhiuffhjàta a chistu fattu!


[Tu, signuri, cu mia ti la pigghiasti]

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