di
ANDREA TRAPASSO
COSENZA
- «Se non fai parte della soluzione fai parte del problema». Una preghiera
finale, quasi un monito affinché ciascuno di noi rifletta sul ruolo che l’uomo
ha nel mondo e su quanto dalla sua azione dipenda la distruzione o meno del
pianeta che abitiamo. È con questa frase che si è concluso lo spettacolo di
Giobbe Covatta al Lungofiume Boulevard di Cosenza, per un sabato sera
all’insegna delle risate travolgenti ma anche di una spietata autocritica su
quello che l’essere umano e la società sono diventati oggi, negli anni Duemila.
E in quella frase, in cui il comico napoletano abbandona l’ironia e la verve
comica che avevano caratterizzato l’ora e mezza di monologo per essere
direttamente incisivo, sta racchiusa l’essenza di tutto lo spettacolo che ha
richiamato in riva al Crati centinaia di spettatori.
Diversamente
da quanto preannunciato, nella versione cosentina del “Recital” di Covatta, c’è
poca Africa, quello che è uno degli argomenti più cari all’artista partenopeo.
Il filo conduttore è invece quello del riscaldamento globale e della
distruzione del pianeta, problematica non di poca importanza al giorno d’oggi.
È intorno a questo tema che Covatta ha deciso di proporre la sua arguta analisi
dell’uomo di oggi, tracciando un profilo a 360 gradi della società moderna. Il
tutto senza abbandonare la sua travolgente comicità, fatta di figure e
descrizioni grottesche, di situazioni esilaranti, di dialoghi simulati tra
personaggi, reali e non, la cui maschera di ilarità nasconde un volto fatto di meschinità e contraddizioni. Il tutto condito da un
linguaggio colorito, ma mai volgare, e della cadenza napoletana del comico che
già di per sé non può non strappare un sorriso. Nessuna sbavatura, nessun
“buco” nella lunga esposizione di
Covatta. Tutto funziona e si incastra alla perfezione. Il pubblico non
smette una attimo di ridere, gli applausi in corso d’opera non si contano.
Siamo
nel 2113, in una Terra sull’orlo della fine, il nipote dell’ormai defunto
Giobbe Covatta, ha per le mani il diario del nonno che descrive la
situazione dei vari decenni passati.
Intorno a questo canovaccio abbastanza semplice, il comico costruisce la sua
critica all’agire dell’uomo e l’analisi del problema ambientale, che tra effetto
serra, immondizia e disboscamenti vari stanno portando all’innalzamento della
temperatura globale, allo scioglimento dei ghiacci e all’aumento del livello
dei mari («non dovremmo più spostarci per andare al mare – ironizza Covatta –
ma è lui che verrà da noi, problema risolto»). Covatta non si risparmia,
affrontando tutti gli aspetti dell’uomo e delle sue abitudini . Non mancano i
riferimenti alla situazione politica italiana, dagli “affari” berlusconiani di
Villa Certosa, all’omofobia della Lega e di Bossi (“colui che odia gli
stranieri”) al quale l’artista dedica una poesia attribuita a Brecht (la
celebre”Prima vennero”). Non manca
l’analisi del problema del lavoro (“che serviva nel 2020 solo a onorare il
mercato”) e, appunto, di un mercato che “ci seppelliva di oggetti inutili” e in
cui l’iPhone 5 (“progettato apposta per rompersi dopo sei mesi”) è lo status
symbol per eccellenza; la deriva della sanità, con la tragicomica avventura di
un anziano tra ospedali e pronto soccorso, che finisce per essere lasciato al
suo destino nel corso di una colonscopia perché, proprio in quel momento, era
scattato lo sciopero dei medici; per finire alla questione ambientale, tra raccolta differenziata, alberi tagliati e
accordi non rispettati. Come il Protocollo di Kyoto, non firmato proprio dagli
americani (“sempre bravi a rompere i c...”), responsabili di quasi il 40% delle
emissioni di ossido di carbonio mondiali.
Ed ecco che è proprio Dio costretto a intervenire rimandando
suo figlio Gesù sulla Terra a controllare la situazione. In questa parodia, che
sembra richiamare i dialoghi biblici di “Parola di Giobbe”, si raggiunge,
forse, il picco della serata. Con Gesù che rifiuta inizialmente di ritornare
sulla Terra (vista la “passata esperienza”), e poi, costretto da Dio, compie il
passo e giunto tra gli uomini cerca di parlare col suo “rappresentante in
Terra”. È una guardia svizzera a fermarlo e quando “osa” presentarsi come
figlio di Dio, questa lo sbatte in galera. Non più crocefisso, dunque, ma
condannato all’ergastolo, e quando ritorna al cospetto del Padre dopo
novant’anni di prigione, descrive il declino della Terra.
Se «la
missione dei comici è quella di far divertire il pubblico senza impedirgli di
pensare», come sostiene lo stesso Covatta, il pubblico di Cosenza ha ricevuto,
sabato sera, una buona dose di entrambe le cose: risate e riflessione. Di sicuro ci sarà qualcuno in più che avrà
capito che se non fa parte
della soluzione fa parte del problema.
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