Pubblichiamo integralmente un messaggio di Antonio Asta, riconosciuto ufficialmente come l'ultimo brigante calabrese, che lo stesso ha diffuso personalmente con dei volantini, per le strade di Cosenza, nei giorni prossimi al 17 marzo 2011, data del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia
Bisogna che qualcosa cambi per restare tutto com’è
Questa è la celebre frase di Tancredi, interpretato da Alain Delon nel film Il Gattopardo, capolavoro di Luchino Visconti, rivolto a suo zio, il principe di Salina.
Ebbene, a distanza di 150 anni, al Sud, purtroppo per noi nulla è cambiato. Nel 1860, con la bella favola del Risorgimento e con la scusa dell’Unità d’Italia, i colonizzatori liberal-massoni della Padania invadevano il Regno delle Due Sicilie, prima con la spedizione del mercenario-avventuriero Giuseppe Garibaldi, alla guida di poco più di mille terroristi, come verrebbero etichettati oggi, l’orda delle camicie rosse, e poi, senza nessuna dichiarazione di guerra al nostro legittimo re Francesco II di Borbone, con quella guidata dall’usurpatore Vittorio Emanuele II di Savoia e dalle truppe piemontesi, con l’attraversamento del Tronto.
Tutti questi hanno spogliato il Sud di tutte le sue ricchezze, in nome dell’unità e della legalità. Forse i padri della patria intendevano per unità e legalità le fucilazioni di massa di vecchi, donne e bambini, la deportazione nel lager di Fenestrelle in Piemonte?
Vorrei chiedere ai signori politici che, quando si recheranno in questi mesi nelle varie trasmissioni televisive a parlare del Risorgimento, dell’unità e dell’orgoglio nazionale, spendessero anche una sola parola per i quasi 100.000 meridionali morti di stenti o sciolti nella calce viva nel lager di Fenestrelle; chiedo ai signori politici se sia giunto il momento, se veramente viviamo in democrazia, di riconoscere una buona volta le stragi commesse nei confronti dei meridionali e di aprire l’archivio militare di via Lepanto a Roma e dare le cifre esatte della pulizia etnica attuata a nostro danno in quel Risorgimento tanto incensato e declamato dai poeti e scrittori del Nord.
Ma forse questi signori non conoscono la storia, oppure la conoscono troppo bene e continuano a tenerla nascosta, dandoci sempre dei briganti e dei terroni: ma i meridionali morti in quei dieci anni di guerra civile che vanno dal 1860 al 1870 furono oltre un milione.
Mi chiedo perché sia avvenuta quell’ecatombe, italiani che fucilavano altri italiani. Forse solo perché gli italiani del Sud erano più ricchi?
Non dimentichiamoci che prima dell’invasione il Regno del Piemonte aveva come capitale solo 8 milioni e cento mila lire, mentre il capitale del Regno di Napoli ammontava a 464milioni di ducati d’oro e che ogni ducato valeva in cambio 37 lire piemontesi.
Al Sud c’erano le fabbriche metal meccaniche volute dai Borboni, le banche erano piene di soldi, disoccupazione ed emigrazione inesistenti, mentre il Piemonte pensava solo a fare guerre e a indebitarsi con le banche inglesi.
Al Sud si lavorava, si guadagnava, si produceva, si spendeva.
Non dimentichiamoci che la prima ferrovia italiana è stata la Napoli-Portici a doppio binario e che la prima illuminazione pubblica a gas d’Europa l’ha avuta Napoli.
Purtroppo le iene e gli sciacalli calati dalla Padania hanno distrutto tutta l’economia del sud per portarla al Nord. E pensare che prima dell’invasione il Nord era pezzente e morto di fame.
Antonio Asta
L’ultimo brigante
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