di FRANCO PIPERNO
COME topi d'appartamento di primo mattino il quattro d'agosto, nugoli di tutor della legalità, bardati alla maniera delle comparse di Cinecittà, con scudi, caschi e manganelli, hanno scardinato le porte dei capannoni, in uso da anni se non da decenni, a tre associazioni studentesche, distruggendoli con le ruspe. Il giorno dopo, di nuovo un po' prima dell'alba, la scena si è ripetuta; questa volta è toccato ai locali di due altre associazioni con sede lungo il ponte che porta il nome del compianto prof. Pietro Bucci: qui, a risparmio di ruspa, v'è stato solo lo scasso, la sostituzione delle serrature ed il sequestro degli oggetti.
C'era, a presiedere al rito di restaurazione dell'ordine perduto, pressocché intera, la cornucopia della legalità nostrana: funzionari dell'Unical, della procura, carabinieri, poliziotti, finanzieri, forestali, secondini - mancavano solo i pompieri, distratti dalla solita frana sulla autostrada Salerno - Reggio Calabria.
Così di un colpo solo, profittando dell'agosto feriale ed indolente, senza neanche il buon gusto d'avvertire, il rettore si è sbarazzato delle cinque associazioni studentesche che, essendo comunità elettive, non possiedono l'autorizzazione rettorale ad esistere, ovvero non sono al servizio del magnifico e dei suoi sodali - per dirmeglio, ha tentato di liberarsi, perché tutto sembra far credere che abbia fatto i conti senza l'oste: passeranno agosto e settembre, verrà l'ottobre, torneranno, insieme alle piogge “torrenziali e piangenti”, gli studenti nel campus di Arcavacata….
Non era mai accaduto, nella vita pur breve dell'Unical, neanche in quei giorni dei lontani anni Settanta, quando il campus era sotto l'occhiuto controllo dei corpi speciali del generale Dalla Chiesa, neanche allora era stata usata la violenza della macchina statale per sfrattare dall'ateneo una associazione politica studentesca. V'è da aggiungere che tutto questo non sarebbe potuto accadere se, per avventura, a Cosenza non ci fosse una procura tentata dal protagonismo teatrale, dispendioso oltreché perfettamente inutile - basterà qui ricordare i mandati di cattura emessi, qualche anno fa, contro i militanti no-global accusati disinvoltamente di “aver cospirato in Arcavacata per rovesciare (sic!) l'0rdine economico mondiale”.
A ben vedere gli episodi di distruzione e sgombero che hannoavuto luogo per due giorni, di buon mattino, all'Unical, mostrano esemplarmente quel che rettorato e procura intendono quando invocano la legalità - giusto come hanno ricordato incisivamente le sobrie considerazioni di un magistrato, uno vero, sulle colonne di questo giornale: le sopraffazioni, le più vili, s'incistano spesso nelle pieghe della legalità, la più rigorosa. Particolare patetico: il rettore, che ha sollecitato ed ottenuto l'intervento della procura di Cosenza, si vanta, in privato, di appartenere a quella generazione di studenti ed operai che tentò l'unica trasformazione radicale che la storia della nostra repubblica abbia mai conosciuto, la “piccola rivoluzione” che ebbe luogo tra il “68 ed il “77. Ma leggiamo in dettaglio il simbolismo implicito in questa operazione di annientamento delle associazioni studentesche autonome.
Per l'intelligenza del lettore, giova ricordare che all'Unical non mancano certo i circoli studenteschi; la maggior parte dei quali mena, come le famose arance di Rosarno, una vita puramente cartacea. Costituiti il più delle volte da uno sparuto numero di affiliati, trascorrono il loro tempo a districarsi nella giungla di norme e regolamenti per tentare di intercettare finanziamenti rettorali, provinciali, regionali, ministeriali e europei in nome delle cause le più variegate e donchisciottesche: dai settecenteschi ed uguali diritti dell'uomo passando per i novecenteschi e disuguali diritti della donna per spingersi oltre verso i diritti futuri, di coloro che non sono ancora nati; e approdare finalmente ai diritti degli animali, senza soluzione di continuità.
Vi sono, però, anche associazioni studentesche che non sono virtuali, esercitando un certo peso nella vita del campus. E queste sono, schematicamente, di due tipi: quelle del malaffare e quelle della critica più o meno radicale se non propriamente sovversiva. Le prime sono legali nel senso che godono dell'autorizzazione del rettore; mentre le seconde risultano illegali perché osano esserci malgrado l'avviso contrario del magnifico.
Le prime vivono in funzione delle scadenze elettorali universitarie, sono cosche per costruire il consenso su base clientelare, per eleggere i rappresentanti negli organi di governo dell'ateneo - mimano i partiti politici ed in una certa misura preparano, con qualche successo, i loro affiliati a divenire politici di professione negli enti locali della Calabria; le seconde non hanno fiducia nella democrazia rappresentativa, non partecipano alle elezioni e tentano un processo di autoformazione, vivendo la vita accademica in coerenza con le idee alle quali credono - così facendo esse conservano e inverano la memoria dell'autonomia cognitiva del movimento studentesco italiano all'Unical.
Le prime hanno una fisionomia politico-culturale sbiadita o addirittura assente; nessuna iniziativa culturale, fosse anche la presentazione di un libro sul maiale nero della Sila greca o un dibattito sulla vita e le opere del prof.Gaudioso; solo festicciole strapaesane a base di birra e di canzoni dell'ultimo festival di San Remo. Infatti, prive come sono di una qualche progettualità comunitaria, il legame che le tiene insieme è di natura praepolitica, si basa sul voto di scambio, sul traffico di favori, quand non sul millantato credito praticato dal candidato alla rappresentanza - quest'ultimo, sia detto per inciso, caratterizzato, di frequente, da una personalità autoritaria ancorché modesta, che lo rende più simile ad un capo bastone che ad un leader studentesco. Questi onorevoli rappresentanti, una volta eletti, per dispensare i favori promessi o per prometterne credibilmente di nuovi, necessitano di un potere di condizionamento sugli atti amministrativi ovvero hanno bisogno, dirò così, della benevolenza rettorale. Il commercio, peraltro già in uso molto prima della intronizzazione duodecennale dell'attuale magnifico e per la verità praticato in altre università italiane, si svolge, grosso modo, così: negli organi di governo dell'ateneo, in primo luogo nel Consiglio di Amministrazione, il rettore può contare, stabilmente ed “a priori “, sul voto degli onorevoli rappresentanti; in cambio, concede senza difficoltà una panoplia di autorizzazioni: assegnazione in comodato gratuito di grandi spazi al centro del campus, generosi contributi per i cachet dei canzonettisti, elargizion munifiche per la pubblicazioni di riviste patinate scarse di congiuntivi ma piene di foto e di errori sintattici, messe su in quattro e quattr’otto nella imminenza dei comizi elettorali; perfino contratti di consulenza, quando non assunzioni nei ruoli impiegatizi, per i rappresentati che scadono, una sorta di buonuscita per i servizi prestati che suole arrivare alla fine del mandato.
Viceversa, le comunità studentesche autonome, ad Arcavacata non diversamente che in altri atenei, usano le aule universitarie per le loro attività, considerando l'università come un bene comune - e se le occupano questo accade ogni qualvolta la gerarchia accademica rifiuta di assegnar loro degli spazi fruibili. Esse non pesano sul bilancio universitario né su quello del Comune, della Provincia, della Regione, della Nazione, dell'Europa o dell'ONU per la semplice ragione che si autofinanziano con una sorta d'azionariato materiale
secondo il quale ognuno dei partecipanti contribuisce in proporzione al suo reddito. Così, con piccoli contributi versati da molti studenti, svolgono l'unica attività politico-culturale extracurriculare che esista nel campus. Questo vuol dire innanzi tutto che si offrono come intelaiature organizzative delle lotte studentesche proprio perché riflettono criticamente sulla struttura e la gestione dell'università; inoltre organizzano le loro iniziative-dibattiti, seminari, giornali, rassegne cinematografiche, mostre d'arte, recensioni di libri, osservazioni notturne della volta celeste, feste dove tutti sono variamente ebbri, partite a scacchi, tornei di tressette scientifico e così via - non per lucrare finanziamenti ma perché queste iniziative sono il fine sociale proprio della loro natura di comunità elettive. Infatti, le associazioni autonome non perseguono il loro progetto
politico come scopo da conseguire nel medio-lungo periodo; bensì, il loro concreto agire, prescindendo dalle occasionali ed incerte ideologie, converte mezzo e fine l'uno nell'altro. Così, testimoniano con la loro nuda esistenza, che un altro modo di vivere è possibile - non nel futuro, quando saremo tutti morti, ma nel breve periodo; o, dirò meglio, qui ed ora.
Non è certo un caso che la vita collettiva interna a queste comunità si svolga non sul modo mercantile dello scambio di equivalenti; ma, piuttosto, sul principio comunistico secondo il quale ognuno dà ciò che sa e può ed ognuno prende ciò che più l'appassiona. Le comunità autonome, così, grandemente contribuiscono alla formazione degli studenti come intellettuali critici contrastando la politica degli “gnomi di Bruxelles”, largamente egemone ormai negli atenei italiani, che punta a trasformare l'ateneo in azienda fordista per la produzione di forza-lavoro qualificata - ovvero, per dirla alla maniera degli universitari berlinesi, in fabbrica d'idioti specializzati. Infatti, è ben noto che la coscienza degli studenti si sviluppa in misura enorme attraverso il conflitto con le istituzioni del dominio, molto più di quanto possa mai accadere se tutti completassero la laurea magistrale e il dottorato in scienze politiche e sociali.
Se questa è la situazione, non c'è chi non vede che legalità ed equità non stanno dalla stessa parte. Certo solo un ingenuo può meravigliarsi che l'autorità accademica dell'Unical, priva di una visione strategica del ruolo dell'università, aggrappata alla legittimità conferitale dalla contro riforma Gelmini, sia ricorsa alla forza pubblica per ripristinare la legalità nell'ateneo. Ciò che invece suscita meraviglia, una patetica meraviglia, è la silenziosa
codardia che attanaglia quei docenti, circa un centinaio, che pure in privato vantano la loro appartenenza alla generazione di studenti ed operai che tentò la sola rivoluzione sociale che la storia della repubblica abbia mai conosciuto, la “piccola guerra civile” che ebbe luogo in Italia tra il “68 ed il “77.
Il che mostra come, in realtà, nessuna garanzia possa venire dal passato: secondo il detto biblico e l'esempio raccapricciante di Israele, i perseguitati divengono persecutori o loro complici; sicché, ragionevolmente, niente ci risparmierà il futuro. Non resta che vivere interamente nel presente.
Fonte: Il Quotidiano della Calabria
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