di ANDREA TRAPASSO
TORINO – Quando si parla di Vittoro
Sgarbi l'immaginario collettivo tende oramai a pescare quelle
performance a cui il personaggio "costruito" a tavolino per
un'esigenza commerciale e di audience televisiva (inspiegabile a
dire il vero) ci ha abituato negli ultimi anni. Una scelta che di
certo non fa bene alla figura di uno studioso che nel suo ambito,
quello della critica d'arte, è forse una delle voci attualmente più
autorevoli nel panorama culturale del nostro paese. E lo spigoloso e
ambiguo Sgarbi conferma la sua vera essenza nel corso della prima
delle due lectio magistralis tenute in occasione del XXV Salone
internazionale del Libro di Torino. Venerdì, nella seconda giornata
di fiera, Vittorio Sgarbi ha deliziato gli astanti di una Sala Gialla
gremita con la presentazione del suo ultimo libro edito da Cantagalli
Edizioni, L'ombra del divino nell'arte contemporanea.
Che Sgarbi sia un personaggio "scomodo" e imprevedibile, lo si legge nelle parole di un comunque soddisfatto e trepidante Ernesto Ferrero, direttore del Salone, il quale alla luce del leggero ritardo dell'autore avvisa il pubblico: «Confido nella vostra pazienza, Sgarbi arriverà con dieci minuti di ritardo e, visto il personaggio, va già bene così». Il "personaggio", al suo ingresso in sala, inizia senza grossi preamboli la sua lezione. Il linguaggio è tagliente, non risparmia le sue solite sferzate (come a "quel deficiente che mi ha fermato accusandomi di averlo deluso per un refuso che ha trovato sul mio libro"), ma quando inizia a macinare il suo argomento è un fiume in piena, padrone di una materia che illustra con una verve che rapisce. Il tema trattato nel libro è quantomai delicato. In esso Sgarbi descrive la battaglia condotta insieme ad altri colleghi in occasione della ricostruzione della Cattedrale di Noto, in Sicilia, danneggiata dal terremoto del 1990, e crollata per un cedimento strutturale nel 1996. Battaglia contro quella dilagante tendenza a vedere nel concetto di contemporaneità l'unico metro di confronto dell'arte di oggi, legando questo concetto alla sua mera realizzazione tecnica. In altre parole, spiega Sgarbi, c'è la "fissazione" a ritenere come poco dignitoso tutto ciò che oggi viene realizzato in campo artistico avvicinandosi alle tecniche e alle pratiche del passato, concependo come "contemporaneo" solo e soltanto ciò che utilizza tecniche e materiali "moderni", con una rappresentazione figurativa del tutto innovativa. Ma così facendo, si rischia di ridurre l'arte a una tecnica, mentre in realtà, sottolinea il critico, l'arte è lo spirito con cui si affronta un certo concetto e la tecnica ne è solo il mezzo. Questa ricerca morbosa di modernità, nel corso degli ultimi decenni, ha relegato nell'ombra numerosissimi artisti che hanno pagato lo scotto di una produzione troppo "antiquata" rispetto ai "moderni" canoni. «Ma per quale motivo - si chiede Sgarbi - un artista contemporaneo non è contemporaneo solo perché non utilizza il poliuretano o la Vinavil?». Questa concezione "deviata" ha causato, secondo Vittorio Sgarbi, la morte dell'arte religiosa, in particolar modo dell'architettura, con una produzione di chiese e strutture più vicine a delle scatole di scarpe o a dei grandi magazzini, che a degli edifici di culto. Prima conseguenza? La cancellazione delle cupole e delle volte, elementi (sia in termini archittettonici che pittorici) praticamente scomparsi nelle costruzione sacre di oggi. «Gli artisti dei giorni nostri – dice Sgarbi – sembrano non volere più affrontare il tema del cielo. Che si sia arrivati alla morte di Dio nell'arte?».
Anche nell'ambito del restauro, fa sapere Sgarbi, spesso ci si prodiga a intervenire su edifici antichi, sconvolgendone la struttura. Solo negli ultimi tempi, anche grazie alla voce di numerosi esperti, gli addetti ai lavori hanno ripreso in considerazione la possibilità di restaurare o di ricostruire le architetture "com'erano e dov'erano". Così come è avvenuto per la Cattedrale di Noto, per la quale Sgarbi e altri si sono interessati a impostarne la ricostruzione in modo da riproporne l'antico splendore settecentesco, utilizzando tecniche e materiali del passato. Anche per gli interni (statue, altari, pulpiti, affreschi) si è tenuto una specie di concorso, scegliendo tra i diversi bozzetti partecipanti, quelli degli artisti che più si avvicinavano alla tendenza che si voleva mantenere: opere che seppur con una nuova reinterpretazione dei diversi temi religiosi, fossero però realizzate con il gusto e con le tecniche il più vicine possibili ai fasti del passato. Ed ecco scorrere, alle spalle di Vittorio Sgarbi, le immagini di queste opere (dei vari Cipolla, Dobrilla, Donizetti). E per ognuna il commento del critico è preciso ed esaudiente.
L'arte non si può limitare in dei format. Il messaggio di Sgarbi è questo... che sia in grado di ricordarlo per se stesso quando va in tv?
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