di BRUNO GRECO
Tra
due mari: una striscia di terra di nome Calabria. Una regione dalla quale
attraverso i numerosissimi balconi montani si può godere dell’aria buona contemplando
il mare, o viceversa, dai davanzali costieri, si può assaporare la montagna, impellente
desiderio mentre il corpo si nutre a dismisura del Sole più bello d’Italia.
Tra
due mari è una grandissima opera letteraria di Carmine Abate, con la quale è
stata tracciata la storia di un uomo, Giorgio Bellusci natio di Roccalba, che
come tanti altri romantici ha speso tutte le forze per farsi una vita in
Calabria, la sua terra, caro scrigno di sogni e di affetti. Fiero narratore
delle peripezie di questo grande uomo é il nipote Florian.
Giorgio
Bellusci è bambino indomito e adulto determinato. All’età di 22 anni abbandona
la propria casa per raggiungere l’amore della sua vita, Patrizia, una ragazza
barese conosciuta qualche estate prima a Camigliatello, dove il Bellusci soleva
soggiornare coi propri bovini durante il periodo della transumanza.
Ci
troviamo nel secondo dopoguerra. In estate, durante il viaggio in direzione di
Bari, a Giorgio Bellusci succede un fatto inaspettato e che, per certi versi,
della bella Calabria ne definisce ulteriori e per niente elogiabili
sfaccettature: così, giunto nella piana di Sibari, mentre dà sfogo alle proprie
abluzioni corporee, Giorgio Bellusci sente il motore acceso della sua vespa. Dei
furfanti gliel’avevano rubata.
Tornare
indietro non è da lui. Aveva fatto una scelta e avrebbe continuato per la
strada intrapresa. E poi non sarebbe stato facile affrontare le persone di
Roccalba. Si sa come vanno le cose in un piccolo paese: tutti gli avrebbero
dato addosso, accusandolo di codardia per non essere riuscito nel suo intento.
Della famiglia gli importava poco, perché egli stesso sosteneva che non
riuscivano a capirlo. L’unico suo rimpianto era il Fondaco del Fico, il fondo
di famiglia dove una volta sorgeva la vecchia locanda appartenuta al padre, al
nonno e al bisnonno, e che fu dimora per una notte anche di Jadin e Dumas, i
quali in quella locanda ci lasciarono un disegno della famiglia Bellusci e un
diario che riportava alcuni appunti di viaggio.
Senza
un mezzo per poter proseguire, Giorgio Bellusci si accascia per riposarsi e si
risveglia con accanto un cane randagio che gli farà da compagno e che battezzerà
col nome di Milord (che non a caso, fu anche il nome del cane di Jadin e Dumas
durante il loro soggiorno calabrese). In preda all’ira per il fatto di non
trovare più la giusta strada, il Bellusci si mette a correre come un matto e
quasi rischia la vita quando un’auto, dopo una brusca frenata, gli si ferma
davanti. Alla guida c’è Hans Heumann, un famoso fotografo tedesco giunto in
Calabria «in cerca di luce».
I
due fanno subito amicizia e Hans Heumann promette di portare Giorgio Bellusci a
Bari se lo stesso gli avesse prima fatto da guida durante la ricerca di
soggetti da fotografare. E dopo che l’affascinante quanto suggestiva Calabria
fu impressionata sulle famose pellicole del fotografo tedesco, con l’arrivo
delle prime piogge la promessa fu mantenuta: giunto il mese di settembre,
intenzionato a ripartire per Amburgo, Heumann accompagna il suo nuovo amico
prima a Bari dalla sua bella Patrizia e poi a Roccalba, dove alla vista del
Fodaco del Fico rinasce nel Bellusci la voglia di ricostruire la vecchia
locanda di famiglia. Voglia mossa da quel pressante pensiero che pure nel sonno
lo assillava. L’immensa luce che emanava Giorgio Bellusci nell’esprimere quel
desiderio non sfuggì all’occhio attento del bravo fotografo, il quale non perse
tempo per scattare l’ultima foto del suo tour calabrese.
Comincia
così la grande amicizia dell’allevatore e dell’artista, unione che sarà in
futuro rafforzata dal loro rapporto di parentela: il narratore, cioè Florian
(che di cognome fa Heumann) sarà infatti il frutto dell’unione tra il figlio di
Hans e la figlia di Giorgio.
A
Roccalba va a viverci anche Patrizia per amore del Bellusci, il quale oramai
non può fare più a meno del Fondaco del Fico.
La
determinazione dell’uomo risulta sempre fondamentale e il determinato Bellusci passa
così dal sogno alla realtà quando incarica il «migliore ingegnere della zona» a
realizzare il progetto per i lavori del Fondaco del Fico.
Un
giorno però, Giorgio Bellusci riceve un’inaspettata visita presso la propria
macelleria all’orario di chiusura. Un giovane ben vestito scende da un’auto, si
dirige verso di lui e lo saluta con fare altero: «Buongiorno capo. Come và?».
Lo stesso, incitando il Bellusci a progredire sempre nella sua attività
continua nel dirgli: «Avrete la nostra benedizione, la nostra protezione.
Pagherete una piccola percentuale l’ultima domenica di ogni mese. Passo io a
ritirare la pila. Non dovete preoccuparvi di nulla». Al ché, il primo istinto
di Giorgio Bellusci lo porta a minacciare l’avventore col suo coltellaccio da
macellaio.
Comincia
da questo momento una storia nella storia. Carmine Abate, attraverso la voce
narrante di Florian Heumann, ci descrive il Fondaco del Fico non più come
espediente per la realizzazione di un sogno, bensì come giusta causa per
sconfiggere un incubo rappresentato dalla malavita.
Giorgio
Bellusci subisce così diversi attentati, dimostrandosi completamente sordo alle
richieste fattegli dai mafiosi. In primo luogo i malavitosi appiccheranno fuoco
alla porta della macelleria e la reazione del Bellusci sarà quella di non
preoccuparsene perché a suo dire era troppo vecchia e in ogni caso andava
cambiata. Dopo gli taglieranno le viti e, con immenso autocontrollo il Bellusci
dirà: «Meglio, così ho meno da lavorare». In ultimo, i mandriani lo
informeranno di aver trovato 2 cani e 10 pecore sgozzate, che tempestivamente verranno
esposte nella macelleria a basso mercato e subito vendute grazie alla
solidarietà dimostrata dagli abitanti di Roccalba.
Ma
la pazienza ha un limite. Nonostante il Bellusci abbia voluto dimostrare a
tutti che si deve agire come se la ’Ndrangheta non esistesse, nel momento in
cui l’esattore malavitoso si ripresenta nuovamente per riscuotere "il
pizzo", lo infilza al collo con un gancio da macellaio e lo appende in
bella mostra all’interno della macelleria.
Finisco col dire che, giunti a questo punto, ogni altra parola spesa a
riguardo sarebbe un inutile tassello messo a completamento della sublime
narrazione di Carmine Abate, che qui mi risparmio di aggiungere per lasciarvi
l’occasione di gustare un libro straordinario che vi coinvolgerà totalmente.
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