domenica 27 gennaio 2013

PAROLE AL VENTO/11 - "Marce a ostacoli"

In macchina, seduta accanto a Shaul Ladany, in religioso silenzio porgevo, durante il tragitto che dall’università ci avrebbe portati al luogo dell’appuntamento dove avrebbe avuto inizio la Marcia della Memoria, le magliette che lui, una ad una, pazientemente firmava. Qualsiasi parola avessi detto in quel momento sarebbe stata inappropriata. Con un groppo in gola, dovuto all’emozione, osservavo la sua mano firmare, una dopo l’altra, le numerose magliette che avremmo distribuito ai ragazzi che ci aspettavano alla partenza. È difficile trasporre a parole ciò che ho sentito in quel momento, l’emozione provata seduta accanto a lui, spalla a spalla. Un’esperienza che non credo avrò la fortuna di ripetere una seconda volta e che terrò ben salda in un angolo del mio cuore, unitamente a tutte le cose belle che sono accadute nella mia ancora breve vita. Io, accanto ad un reduce dell’olocausto, ad un ex atleta israeliano e ad un sopravvissuto all’assalto terroristico alle olimpiadi di Monaco del 1972. In questi casi non puoi far altro che stare in silenzio e ascoltare, il suo respiro, le sue parole; osservare i suoi movimenti, incrociare il suo sguardo, cercare di capire quale sia stata la forza che, nonostante tutto, lo ha portato a non mollare mai.
“Puoi sopravvivere e iniziare a morire dentro. Oppure puoi andare oltre. Shaul Ladany lo ha fatto. Per due volte. […] forse non è un caso che, da atleta, abbia scelto la marcia. Un metro dopo l’altro, sempre dritto senza voltarti. E a ogni passo metti una distanza tra te e quello che ti sei lasciato alle spalle".

Questo è quello che Andrea Schiavon, anche lui presente in quella stessa automobile quel giorno, ha scritto nel suo libro, dove racconta la storia “dell’eterno sopravvissuto”.
Dopo otto chilometri di marcia, insieme ad un gruppo di studenti delle scuole superiori della città, è arrivato in aula magna per un breve saluto, preludio della testimonianza che sarebbe di lì a poco avrebbe dato.
Seduta sulle poltrone dell’Aula Magna ancora una volta ascoltavo in religioso silenzio ciò che Ladany raccontava. Parole che riecheggiano ancora nella mia testa. “Non può esistere una maniera univoca di reagire al dolore, ogni individuo è unico e quindi anche la sofferenza è diversa. Io ho imparato a non avere più paura di nulla, neppure della morte”. Ho ancora “Nella vita bisogna essere ambiziosi,  non bruciare mai le tappe. Dobbiamo imparare a fissare un obiettivo, uno solo e concentrarci su quello. Una volta raggiunto non bisogna fermarsi, perché esso sarà punto di partenza per un nuovo traguardo".
Ascoltavo e pensavo che questi uomini, ma come lui anche tante donne che hanno vissuto la sua stessa esperienza, sono persone da cui prendere esempio e di cui tramandare la memoria, sempre. Tra trenta, quaranta, cinquanta anni non ci saranno più, ma di loro deve rimanere vivo il ricordo e la testimonianza di vita, l’esempio di forza che ci hanno dato e che ci hanno lasciato.
Never again, queste sono le parole con cui ha concluso il suo intervento/testimonianza presso l’Unical, spiegando che per lui non è solo un motto, bensì uno stile di vita. Never again tramutando però la parola nella pratica.

Isabella Calidonna

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